FUTURE OF WORK

Robotica collaborativa: la chiave è la formazione

Andrea Zanchettin
PhD e Professore Associato presso il Politecnico di Milano
Esperto di robotica collaborativa

La robotica è parte integrante della trasformazione digitale che stiamo vivendo, tanto in ambito industriale quanto, soprattutto di questi tempi, medicale ed ospedaliero. ABB, leader globale in questi settori, vanta una collaborazione di lunga data con il Politecnico di Milano, con cui sta conducendo diversi progetti di ricerca.
Ne parliamo con l’esperto di robotica collaborativa Andrea Zanchettin, PhD e Professore Associato presso lo stesso PoliMi.

È di questi giorni la notizia del rinnovo per altri tre anni della collaborazione tra ABB e il PoliMi. Quali sono i progetti attualmente in corso, e quali le aree di ricerca su cui vi state focalizzando?
Le ricerche in corso riguardano ad esempio l’automazione di motori di energia o, per quanto riguarda la mia attività, la robotica, in particolare quella collaborativa. Posso dire in effetti di aver visto nascere il robot YuMi, nel senso che già nel 2011 collaboravamo su questo con ABB. Grazie a questo abbiamo creato molti contatti di ricerca in Italia, Germania e Svezia, con cui si lavora sulla robotica collaborativa intelligente. L’idea è quella di dare un aspetto più cognitivo alla collaborazione tra uomo e robot, andando oltre la compresenza: una sorta di rivoluzione in cui mettiamo l'ingrediente dell'intelligenza artificiale all'interno dell'automazione industriale. Mi piace parlare di automazione collaborativa perché non ci sono solo un robot e una persona, ma anche altre macchine e macchinari. Gli ultimi sviluppi che stiamo concludendo, quasi pronti ma interrotti lo scorso marzo, riguardano delle integrazioni di intelligenza artificiale non più sul campo, quindi vicino al processo, ma più decentralizzata, in particolare su elementi di edge computing raggiungibili tramite connettività 5G. Con ABB e Vodafone, in questo caso partner nelle telecomunicazioni, abbiamo realizzato una cella, che richiede solo qualche “fine tuning” a causa dello switch da rete di ricerca a rete commerciale da parte di Vodafone, con cui stiamo cercando di far sì che l'intelligenza non sia necessariamente sul robot o sul dispositivo, ma anche decentralizzata. Chiaramente per avere più capacità di calcolo quando i dati sono tanti poi serve una connessione molto potente, quindi il 5G.


L’idea è quella di dare un aspetto più cognitivo alla collaborazione tra uomo e robot, andando oltre la compresenza.

Abbiamo letto tanto di YuMi alle prese con i test sierologici (capace di automatizzare fino al 77% delle operazioni necessarie per svolgere i test e analizzare fino a 450 campioni all’ora). Quale potrà essere l’utilizzo dei robot collaborativi nel medicale in un futuro non troppo lontano?
Il covid, al di là di tutti gli aspetti negativi ad esso legati, ha in qualche modo acceso un riflettore su questa tecnologia, nella speranza che ci si renda conto che può essere utile. Il concetto di base è quello della robotica collaborativa in ambito manifatturiero. Per la produzione di massa, l'automazione con grandi macchinari permette di produrre milioni di pezzi. Dal punto di vista della piccola e media impresa ecco che questi robot collaborativi sono probabilmente una carta vincente per aumentare la produttività mantenendo gli investimenti contenuti. Se prendiamo questo paradigma e lo spostiamo in ambito medicale, nei grandi ospedali si hanno dei robot cartesiani che processano migliaia di test al giorno (sierologici piuttosto che analisi del sangue), mentre nella piccola clinica di provincia è quasi come essere nell'artigianato in ambito industriale. Questo significa che la persona che fa questi test li analizza come se fosse un artigiano: ne prende uno alla volta e li processa. Il covid ha messo in luce quelli che sono i problemi. Se nel manifatturiero li conoscevamo, in ambito ospedaliero certi limiti delle piccole strutture sono emersi soprattutto in questi ultimi mesi. Prendiamo l’esempio di chi deve fare un test diagnostico generale di una malattia qualsiasi, magari infettiva, in un piccolo ospedale di provincia. Lì non c'è la capacità di processamento locale, perché non ci sono le infrastrutture e si fa tutto a mano. C'è solo “l'artigiano”, così il test deve essere spedito per arrivare in un grande ospedale dove c’è l’automazione e può essere processato. I tempi per il trasporto, durante una pandemia, significano un ritardo nella risposta, il che sarebbe da evitare. Avere una “mini-automazione” sul territorio, ossia nei piccoli ospedali dove non si può garantire il processamento di migliaia di test al giorno, sarebbe una valida alternativa al fare tutto a mano, difficile e non conveniente. La robotica collaborativa, in sostanza, permette una gestione veloce del test diagnostico, e un servizio più efficiente sul territorio.


La robotica collaborativa, in sostanza, permette una gestione veloce del test diagnostico, e un servizio più efficiente sul territorio.

In ABB si parla di un "Rinascimento Digitale", che possa aiutare nella transizione dall’emergenza sanitaria alla fabbrica del futuro. The Future of Industry… secondo lei è davvero impossibile senza la robotica?
Ormai il mercato sta andando in quella direzione, ma mi piace ricordare che è imprescindibile anche la componente umana. I robot in questo momento sono più limitati rispetto a una persona, sanno fare poche cose, ma molto bene. Per tutto il resto c'è la persona e la sfida è portarla, tramite la formazione, ad un livello superiore. Serve poi evitare di lasciare gli operatori isolati dalla tecnologia digitale. Ricordiamo infatti che quando è tutto digitale all'interno di una fabbrica la persona è l'unico elemento analogico, con macchine che si parlano in un linguaggio che la persona, se non propriamente formata, non comprende.

E se invece parliamo di Future of work e robotica collaborativa? Come pensa possano evolversi le dinamiche legate alla robotica nel mondo del lavoro?
Non so come sarà il lavoro da qui a dieci anni, ma di sicuro serve agire nel presente per riqualificare determinate mansioni ed essere pronti quando quelle che oggi hanno motivo di esistere, anche solo fra cinque anni, non ne avranno più. Dovremmo partire da questo presupposto e cercare di identificare quelle più suscettibili di essere automatizzate a breve, e agire su quelle.

Come sta cambiando l’approccio delle donne al mondo delle STEM e cosa vede dal suo osservatorio al Politecnico?
La formazione STEM In Italia purtroppo è una formazione di nicchia. In Italia ci sono già pochi laureati e se andiamo a vedere dove questi si distribuiscono, notiamo che quelli che lo sono in materie STEM sono pochi. Questo sicuramente è un problema perché si deve affrontare una transizione tecnologica senza persone che se ne sappiano occupare, il che è un evidente problema. In tutto questo la componente femminile è minoritaria, seppure in crescita.


La componente femminile è minoritaria, seppure in crescita.

Perché?
La risposta purtroppo non ce l'ho. Lo studente e la studentessa che si immatricolano al Politecnico sono trattati con pari dignità e pari mezzi, quindi non c'è nessuna differenza. Anzi, cerchiamo di stimolare le ragazze ad appassionarsi alla tecnologia, attraverso iniziative come dei corsi di avvicinamento alla robotica che, in collaborazione con ABB, organizziamo in classi miste nei licei, dove la componente femminile a volte è anche maggioritaria. Il problema, secondo me, per quanto possa sembrare banale è di tipo culturale. Un problema generale, che tocca anche il lavoro della madre, soprattutto in Italia dove spesso manca la cultura del welfare aziendale – anche per le piccole dimensioni delle aziende. Secondo me la soluzione deve venire trovata a monte, non a valle, nel senso che iniziative come quelle del Politecnico e di ABB sono lodevoli, ma bisogna partire dalle scuole superiori. Perché la ragazza che si appassiona di tecnologia al liceo poi non si iscrive ad ingegneria? Serve una maggiore cultura scientifica, ma anche una maggiore cultura del lavoro scientifico. E queste devono appunto partire dalla scuola.

A cura di Andrea Bertaglio >>

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